Racconto, con filosofia

Lusso Gentile secondo me

La prima volta che ho sentito questa espressione è stata dalle labbra del caro amico Gianluca, General Manager del Grand Hotel di Alassio, durante un lunch molto piacevole di fronte al mare. 

Ad essere onesto non ho subito capito bene a cosa alludesse in quanto, dopo quasi 30 anni di carriera nel fashion e nel lusso, mai avrei combinato l’aggettivo gentile con il sostantivo lusso: un vero ossimoro per me. E non solo per me.

Alessandro Maria Ferreri, CEO di The Style Gate

Di primo acchito l’ho subito assimilato al concetto di “moda sostenibile”: un altro emblematico (nonchè fastidioso) ossimoro del mondo moderno attraverso il quale le aziende si illudono che un giorno, di un futuro molto prossimo, davvero si possa parlare di completa “sostenibilità” del fashion. E’ infatti ormai chiaro a tutti, ahimè, che le stesse basi sulle quali si muovono le dinamiche del lusso non permetteranno mai che la sostenibilità si manifesti in forma piena: la stagionalità del prodotto ne è un esempio.

In un mondo dove una collezione di moda invecchia più velocemente del latte che diventa yogurt, come possiamo pensare che improvvisamente non si rinnovi più, celebrando il riutilizzo del vecchio rispetto all’acquisto del nuovo?

La vedrei onestamente molto dura! Vorrebbe dire che per vedere sventolare la bandiera della piena sostenibilità assisteremmo al disastro totale di un’intera supply chain, dove migliaia di artigiani possono invece rimanere in vita proprio perché ogni stagione la moda deve buttare via il vecchio per produrre il nuovo come uno stesso bruco che costantemente deve diventare farfalla e per poi ritornare ad essere bruco e ricominciare da zero.

All’ultimo meraviglioso Festival del Cinema di Venezia

Detto ciò, e ritornando quindi al nostro quesito primario, per come infatti ho imparato a trasmettere e a promuovere il lusso nella mia professione, è abbastanza ragionevole pensare che il lusso non abbia mai avuto alcuna chance di essere gentile con tutti: il lusso incarna infatti da sempre i concetti di esclusività, unicità, valore altissimo, esiguità di pezzi. Da ciò si evince che il lusso, invece di essere “gentile” è al contrario spesso sfacciato (anche quando è apparentemente discreto e minimale), snob e classista: già il solo fattore “prezzo” lo rende ahimè “gentile” solo per coloro che se lo possono permettere, rendendolo invece un pò arrogante e fastidioso per chi non vi può accedere.

La singolare espressione di Gianluca però mi aveva comunque messo una persistente pulce nell’orecchio, e siccome veniva da una persona molto intelligente e di cui ho una grande stima, non potevo certo da codardo abbandonare lì le cose. 

E ho cominciato così, nei giorni a seguire, a chiedermi : “può davvero il lusso diventare gentile?” oppure “esiste una forma di lusso che democraticamente possa essere davvero considerata gentile?”. Ahimè lo sconforto è arrivato molto presto in quanto, pur arrovellandomi sulla questione, non riuscivo a dare una risposta affermativa alle mie domande. 

Certo: il moderno pensare dei brands del lusso, che finalmente proclama la necessità di mettere al centro dell’attenzione il consumatore e non la creativita’ del marchio, va sicuramente in una direzione più inclusiva e “gentile” rispetto al passato, privilegiando l’experience nel punto vendita off-line per poi eventualmente far completare gli acquisti online o tramite personal shopping. Da qui la tendenza ad una sorta di “porte aperte per tutti” nei flagship stores del lusso.

Parlando di The Style Gate all’evento di Lusso Gentile al DDB Hub

Lì, chiunque può farsi avanti e farsi conquistare dall’accoglienza del team preposto alle vendite, a prescindere dalla reale intenzione alla spesa o dalla possibilità finanziaria, perché l’importante è far aumentare l’equity che un marchio ha nel territorio, per poi dirigere i consumatori, solo poi in un secondo tempo, alle le fasce di prodotto a loro più congeniali, a seconda delle loro possibilità economiche. Ma tutto ciò non è ancora la definizione di lusso gentile, bensì un “gentile surrogato” per non emarginare in prima istanza: il lusso rimane ancora e comunque “divisivo” ed “esclusivo”. Non ne faccio una questione sociale, ma semplicemente ho difficoltà a chiamarlo “gentile”.

Nonostante ciò non mi sono dato per vinto, perché volevo arrivare a capire fino a che punto l’amico Gianluca potesse avere ragione. 

E allora, come spesso mi accade (ed è per questo che i miei amici inglesi mi chiamano “divergent” o “unconventional”) mi sono divertito a sovvertire le regole di base e, in questo caso specifico, a invertire la sequenza degli addendi sperando in una somma diversa. E quindi mi sono chiesto: ”e se invece di rincorrere il lusso gentile, iniziassimo a pensare al fatto che potrebbe essere per esempio la gentilezza il nuovo vero lusso? Ecco che allora il concetto ha iniziato a prendere una forma diversa.

Ovviamente siamo daccapo con la storia dell’ossimoro in quanto tutti speriamo che a questo punto la gentilezza, in quanto nuovo lusso, allora “non sia per pochi”, “non sia esclusiva” e soprattutto “non sia costosa”. Ma certo è che è molto più facile, a mio avviso, pensare di poter far diventare la gentilezza il nuovo vero lusso piuttosto che rendere il vecchio lusso, gentile.

Un concetto di questo tipo è stato fortunatamente già preso in considerazione da alcuni prestigiosi attori del fashion, come ad esempio la Maison Valentino, che ha messo in atto una vera e propria ristrutturazione della cultura aziendale. Secondo il nuovo credo, sembrerebbe importante e prioritario trasmettere valori reali e sani a tutti gli interlocutori del marchio, per far sì che chiunque venga a contatto con i prodotti promossi, anche non considerandosi ancora per il momento “pronto” all’acquisto, è comunque il benvenuto a vivere l’esperienza del brand in modo da intanto assimilarne i codici, il messaggio intrinseco per poi lentamente e piacevolmente innamorarsene. Tale “affetto”, costruito a prescindere se un acquisto è stato effettuato o no, si sviluppa in una sorta di “area sicura” dove il consumatore in fieri è tranquillo e non subisce alcuna pressione, abbracciando allora una sana e finalmente “gentile” forma di assimilazione del bello, di propensione a ricercarlo e di capacità a riconoscerlo. 

La Maison Valentino e il “Lusso Gentile”

Secondo quando riportato dalle proiezioni fatte dal management di Valentino, sembra che tale strategia ovviamente non abbia magari la possibilità di avere grandi riscontri a breve termine in quanto a rivoluzione dei fatturati, ma di certo da’ la sicurezza di avere a medio-lungo termine una solita crescita della consapevolezza dei consumatori nei confronti del brand. 

E’ come se esistesse un costante vivaio di potenziali consumatori nei confronti dei quali la sfida del marchio è quello che in gergo viene chiamato “conversion rate” ossia il maggiore o minore passaggio dall’essere semplici  curiosi “visitatori” all’essere attivi “acquirenti”.

Ora: che questo voglia di colpo dire gettare solide basi affinchè la gentilezza diventi il nuovo vero lusso, non ne sono così convinto. Ma sento in cuor mio che potremmo essere sulla buona strada e, sempre giocando con le parole, potremmo già essere al punto di considerarla almeno una “lussuosa gentilezza”. Una volta poi assimilato il fatto che nel mondo del business nessuno fa niente per nulla e che comunque la cortesia odierna è celatamente propedeutica per un acquisto futuro, possiamo comunque sentirci abbastanza tranquilli che nuovi orizzonti si possano dispiegare davanti ai nostri occhi. Gli addetti alla vendita diventeranno quindi più propriamente dei compagni di viaggio attraverso un’educazione a cosa veramente può essere definito lusso, insegnando al consumatore che il lusso è anche “durata”, è anche “investimento” è anche “tramandare il bello”: come le nostre nonne quando tenevano da parte il loro abito di nozze nella speranza che le figlie si sarebbero sposate indossandolo. E se ci pensiamo, sotto questa nuova luce, il lusso potrebbe non solo diventare più gentile (in quanto si “vestirebbe” di più alti principi) ma in qualche modo diventerebbe anche “sostenibile” (che di fatto è già anch’essa una forma di gentilezza): comprare meno, comprare meglio e conservare. 

Ho letto di recente un meraviglioso articolo di una cara amica, nonché eccellente giornalista e fine conoscitrice del bello: Fabiana Giacomotti.

Sulla sua bellissima rubrica Il Foglio della Moda, ha scritto in maniera egregia di una regola al giorno d’oggi nota solo più a pochi: la regola del 300. Andando indietro alle usanze dell’aristocrazia fiorentina, come i Corsini o i Gucciardini, sembra che il corretto numero di volte in cui indossare un determinato abito, prima che sia arrivato il momento di disfarsene, sia appunto 300. Secondo questa usanza, se voi per esempio andate a sbirciare nei grandi armadi di Palazzo Corsini a Firenze, vi stupirete nel vedere che vi sono conservati abitini da battesimo o da cresima, divise per paggetti e livree per camerieri e maggiordomi: chiunque della grandissima e nobile famiglia, nei secoli, abbia avuto bisogno di uno di questi pezzi, per i più svariati impegni, è andato appunto in questi armadi, ha preso in prestito un abito, ha segnato su un foglio data e ora, e lo ha riportato pulito dopo l’uso. Una sorta di biblioteca di Alessandria degli abiti, che farebbe felicissimi gli ordierni combattenti per la moda sostenibile. Certo: forse i principi Corsini non hanno così molto nutrito il commercio dell’abbigliamento fiorentino, ma fa bene al cuore pensare che assimilando un po’ di questa consuetudine, si possano raggiungere scopi egregi.

Lusso gentile quindi? O gentilezza lussuosa? Forse nessuno dei due a questo punto. 

Prendiamoci semplicemente tutti il lusso di essere più gentili. E partiamo da qui.

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