Lavoro, con rispetto

La Curatela del servire

Ma davvero non esistono piu’ persone disponibili ad imparare l’arte del servizio?

Sento sempre piu’ spesso colleghi del settore lamentarsi del fatto che non ci siano più persone capaci e vogliose di “amare” l’arte del servire. Il servizio all’interno del mondo hospitality e’ sempre quella parte più discussa, criticata e magari talvolta (meno male) positivamente riconosciuta come “decisiva nella valutazione di un prodotto”. Insomma, parliamoci chiaramente: un buon servizio è in grado di sopperire a moltissime lacune di altri settori. Facciamo un passo indietro. Ogni volta, mi chiedo quale realmente sia il peso percentuale di valutazione tra la parte oggettiva e quella soggettiva dell’esperienza finale del cliente. Prima di tutto, soffermiamoci sulla differenza tra l’esperienza oggettiva e quella soggettiva. Ognuno di noi nella propria vita è cliente ed operatore nel corso della propria giornata, motivo per il quale il feedback dell’esperienza viene così partorito da due punti di vista diversi.

La scena indimenticabile de “La Vita è bella”

Guarda i girasoli: s’inchinano al sole, ma se vedi uno che è inchinato un po’ troppo significa che è morto. Tu stai servendo, però non sei un servo. Servire è l’arte suprema. Dio è il primo servitore; Lui serve gli uomini, ma non è servo degli uomini.

Roberto Benigni

L’esperienza oggettiva e’ quella basata sul prodotto e sulla relativa qualità del servizio “delivered”. Si basa sulla materia prima intesa come tale, non solitamente passiva alle interpretazioni ma influenzata oggettivamente dagli standard, dal prodotto, dall’aspetto e dalla relativa presentazione materiale (e, oggi non meno importante, anche da quella digitale). Quella di tipo soggettiva, la più complessa da appagare, e’ mirata alla soddisfazione personale a livello umano: una dimensione dove ognuno di noi vive di emozioni, sogni e sensazioni diverse che nascono da un background di esperienzialità diversa, influenzata dai ricordi, percezioni ed aspettative più o meno ambiziose. Ed è lì che fa la differenza chi pratica l’arte del servire con amore e chi, ahinoi, lo fa senza passione.

Credo che questa analisi sia applicabile anche alle persone che non riescono ad amare il proprio lavoro.

Ma perche’ si tende a sminuire il proprio lavoro, perche’ non si cerca di valorizzarlo maggiormente attraverso la passione e l’amore per quello che si fa? Da piccoli cresciamo coi genitori che ci dicono o chiedono di fare cose, di dire quello che gli piacerebbe sentire e di orientarsi, sulla base del proprio retaggio culturale. Ma, alla fine, l’indole primordiale ed istintiva di un bambino porta volontariamente a scoprire tutte le nostre capacità individualmente, andando dietro alle nostre più profonde vocazioni.

Perchè non facciamo questo anche da grandi ? Perchè non ci ricolleghiamo alle buone maniere di imparare le cose con il tempo, il sacrificio e la volontà?

Perche’ stiamo perdendo l’umilta’.

Il mondo di oggi sta andando troppo veloce, sta accelerando processi e percorsi che richiedono molto più tempo per essere davvero assimilati. È come se volessimo nascere sapendo già scrivere ancor prima di saper coordinare le mani.Smettiamola di accusare i giovani di oggi: queste affermazioni semplicistiche che risuonano all’interno di importanti salotti “non ci sono piu’ i giovani di una volta”, “e questi sarebbero i giovani che dovranno guidare il futuro?” non si possono davvero sentire.

Tante culture diverse, un solo cuore.

Se i giovani di oggi hanno perso il valore per il gusto, per l’eleganza d’animo, per lo spirito di sacrificio, per la passione e la voglia di fare meritandosi i traguardi da raggiungere, la colpa è decisamente della generazione “di mezzo” di oggi, quella che si sta scordando cosa i propri genitori e nonni gli hanno insegnato con il duro lavoro e sacrificio, impiegando tutte le proprie forze per una vita intera per insegnare ai propri figli la dignità e l’onestà.

Questo e’ il vero motivo per cui non si trovano più persone disponibili a sporcarsi le mani con il duro lavoro, a sorridere di fronte alle fatiche di un turno più pesante.

Le persone non si innamorano più del proprio mestiere: e, parlando del mio settore, basterebbe pronunciare una piccola parola che racchiude in sè eleganza e savoir-faire. Sì perchè la “Curatela” nel servire l’altrui persona è una parola affascinante che esprime, per me, l’arte di prendersi cura, di tutelare e proteggere il servizio a favore di un cliente che desidera stare bene e sentirsi riconosciuto tramite le gesta di una persona innamorata di quello che fa. E le scuole hanno sicuramente un ruolo fondamentale nello stimolare i giovani studenti. Durante il percorso di crescitarappresentano certamente il primo step professionale di ognuno di noi, provando a prepararci al meglio al primo approccio con il mondo del lavoro. Sono però fortemente convinto che il primo impegno debba nascere direttamente dalle famiglie: per orientarsi come si deve sulla formazione e l’istruzione, per crescere con una buona educazione e per stimolarli allo sviluppo delle proprie passioni, sempre con rispetto, cura ed amore.

In conclusione, è tangibile la necessita’ di aiutare i giovani nel camminare attraverso il percorso dei propri sogni ma è doveroso intervenire per aiutare i grandi ad imparare cosa significhi veramente amare, rispettare e sognare il proprio mestiere. Perchè non si può insegnare qualcosa a cui non si crede.

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2 comments

Vorrei esprimere la mia condivisione sul concetto appena scritto.Ora dopo quasi 40anni di lavoro e di contatti con il pubblico,effettivamente a tanti non é ancora chiaro il concetto di servire il proprio ospite.Tale espressione era più comprensibile quando ho iniziato a confrontarmi con questo mondo.Ho visto negli anni un peggioramento da parte delle nuove leve,del cosa significhi servire e il rovescio di cosa sia servo del Cliente. É anche vero che vi è stata una involuzione nella ns società. É difficile,ma per fortuna non é raro,trovare giovani che decisamente hanno ,come dico io, un bel comportamento,dove la famiglia é riuscita a dare la sua impronta positivave non aggrssiva.Ho iniziato questo lavoro già con una base datami da una famiglia sana,dove quando si cenava,si cenava tutti insieme e ci si guardava in faccia.Oggi si guardano i social non i propri genitori.Questo é un lavoro dove il rispetto,reciproco,le buone maniere( grazie,scusi,prego,sorriso e un sincero buongiorno o come sta?,) l’educazione di far salire prima una sig.ra, il trattenersi dal rispondere alle provocazioni,un semplice piccolo gesto ,questo dovrebbe ma ahimè non lo e,parte del rapporto con chi ho di fronte.Ammettiamolo ,purtroppo anche la Clientela è e sta cambiando non certo in positivo.E’ lo specchio di una società triste dove non si sorride più,.dove il giovane di buone maniere e non super tatuato è visto come il debole,colui da prender di mira.E’ triste vedere anche nel ns mondo un impoverimento di principi che pur non essendo scritti a fuoco,sono la base del ns immenso patrimonio professionale.

Grazie Dario per il tuo importante commento. Lusso Gentile crede fortemente che proprio persone come te che esprimono amore per il proprio mestiere possano aiutare gli altri a cambiare e ripartire da solidi basi al fine del miglioramento reciproco. Grazie ancora per la tua testimonianza. Un caro saluto

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