Quando si parla di gentilezza bisogna subito uscire da un imbarazzo: non si sta parlando di forma, di cortesia, di educazione o di generiche buone maniere
La gentilezza deve essere prima di tutto relazione, relazione tra un “io” e un “tu”, una relazione fondata sul riconoscimento: io ho cura di te, ti rispetto, ho attenzione per le tue esigenze e per la tua vita, sei per me una risorsa e non una minaccia. Questa è la definizione di base, dalla quale dobbiamo partire per capire quanto la gentilezza sia importante in tutte le nostre vite, tutti i giorni, e quanto dobbiamo coltivarla. Prima di tutto per un interesse personale: una vita governata da questa gentilezza è una vita vissuta meglio. Se ripensiamo alla storia dell’umanità, alla nostra formazione come esseri sociali, ci accorgiamo come l’umanità abbia iniziato a evolvere come tale quando ha cominciato a collaborare. Dall’uso degli strumenti alla convenienza del vivere in comune sono nati e si sono sviluppati i concetti di civiltà e cultura come li conosciamo ora.
Non è un caso che negli ultimi anni, dopo un lungo periodo di individualismo accentuato, stiamo ritornando a desiderare una società più collaborativa e solidale, a pensare di lasciare alle nuove generazioni un mondo che non sia governato e orientato solamente alla ricerca del guadagno a tutti i costi. Per i nostri figli e i nostri nipoti sogniamo sempre più un mondo in cui vivere e non soltanto sopravvivere. In questi anni quel che si sta cercando di fare da più parti, persino nel mondo delle aziende e in particolare in quelle più moderne, aperte e sviluppate, è di dare spazio a quelli che vengono definiti i “creativi culturali”. Non sono fanatici o fondamentalisti, ma persone che scelgono di rimettere al centro delle loro idee di sviluppo il benessere collettivo. Tutto parte dall’elemento essenziale che contraddistingue la gentilezza: l’attenzione verso se stessi. Il primo passo per l’accudimento degli altri e delle loro esigenze è rivolgere la medesima cura verso se stessi.
Non è un caso che l’attenzione per l’ambiente sia al centro del dibattito e del lavoro della maggior parte dei creativi culturali e che un rapporto più sano con un’alimentazione che non contribuisca a devastare le risorse del pianeta stia diventando un patrimonio comune sempre più diffuso. Se riflettiamo con attenzione e sincerità al nostro modo di costruire la vita di tutti i giorni, ci accorgiamo che lo sforzo di fare cose positive viene premiato dalla qualità della nostra vita. La comunità che mi accoglie e mi sorregge, mi permette di realizzare i miei bisogni. I Paesi e le società più portate per un serena vita di comunità vivono meglio anche il contatto con la natura e con il suo rispetto.
È un processo che condiziona e comprende diversi aspetti della vita, dal tempo libero alle scelte di lavoro, a quella delle compagnie e soprattutto dell’alimentazione.
La sensazione è che ci stiamo muovendo verso un nuovo umanesimo, verso una maggiore attenzione all’essere umano inserito nella natura e non nemico di essa, perché così deve essere. La gentilezza, in questo senso, non è più «un orpello da indossare nelle grandi occasioni», come diceva Alda Merini. La gentilezza è attenzione a quello che ci circonda.
Dobbiamo però essere molto chiari: la gentilezza non ci viene naturale, non è automatica. Anzi. La gentilezza si deve allenare giorno per giorno. Bisogna partire da se stessi, dalla mente, dal corpo, dal rapporto con l’ambiente. Il motore delle società e delle persone sgradevoli (l’opposto delle società e delle persone gentili) è la paura. La paura dell’altro, dello sconosciuto, del cambiamento, della diversità. Siamo esseri abitudinari e in gran parte governati dalla pigrizia. Quindi quello che la nostra mente fa in automatico quando si trova di fronte alla novità è alzare un muro. Perché la novità ci mette in gioco, ci sfida, ci mette in crisi, ci chiede di cambiare abitudini. Di fronte alla novità, che può essere rappresentata dalle persone, o da un lavoro, o da un modo diverso di fare le cose, per pigrizia saremmo portati a dire semplicemente no, fermando ogni processo di sviluppo, che è invece alla base di ogni evoluzione.
Le società sgarbate sono quelle che non riescono ad accogliere le persone con solidarietà e servizi, ma anche quelle che non sono in grado di proteggere i propri membri.
Costruire società gentili significa prima di tutto garantire a tutti la possibilità di realizzare i propri sogni: poi non è detto che tutte le persone possano realizzarli o ci riescano, ma una società sana governata da questo tipo di gentilezza sociale dovrebbe fornire il contesto per poterli realizzare. Sembrano discorsi utopistici, ma non lo sono. Al contrario, si tratta di stare con i piedi ben ancorati alla terra e alla nostra felicità di tutti i giorni. In questo senso è come se la positività soffrisse di cattiva stampa. I media hanno grande potere e responsabilità nel diffondere positività e gentilezza.
Sono una psicologa, scrittrice e imprenditrice svizzera. Con grande orgoglio, ho presieduto il World Kindness Movement e ho fondato due organizzazioni no profit – Gentletude Switzerland e Gentletude Onlus. La gentilezza è la protagonista della mia vita e la insegno “gentilmente” nelle scuole, nelle aziende e in famiglia.
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