Hospitality is Colour

L’ospitalità che restituisce voce ai luoghi

In un tempo in cui il turismo rischia spesso di divorare i luoghi che tocca, c’è un modo diverso di fare accoglienza. Un modo che ascolta, si prende cura e restituisce. È l’ospitalità che rigenera. Quella che, invece di imporsi, cerca il dialogo con il territorio, con la sua storia, con chi lo abita ogni giorno. Una forma di imprenditoria che parte dalla comunità e guarda al futuro con responsabilità.

Nel borgo di Buggiano Castello, in Toscana, questo approccio ha trovato espressione concreta in un progetto – La Monastica – che ha trasformato un antico monastero in un luogo d’accoglienza, restituendo al paese anche un campanile, un parco giochi, e un senso nuovo di vita condivisa. Un progetto che ha scelto la via lunga, quella che non cerca scorciatoie. Dove ogni pietra, ogni luce, ogni silenzio ha ritrovato dignità.

Abbiamo chiesto a Stefania Arrighetti, CEO del gruppo, e a Gianfilippo Mancioli, General Manager, di raccontarci questa visione. Lo abbiamo fatto senza cercare slogan, ma raccogliendo le loro parole come si raccoglie una testimonianza. Quella di chi crede che ospitalità possa ancora significare prendersi cura, responsabilità, ascolto. E che un’impresa possa essere anche un atto di restituzione.


Stefania, cosa ha significato per voi recuperare un borgo come Buggiano Castello attraverso l’ospitalità?

È stato molto più di un progetto imprenditoriale. Recuperare questo luogo ha significato mettersi in ascolto di una storia antichissima e avere il coraggio di scommettere sui tempi lunghi, sulla bellezza che non si impone ma si rivela. È stato impegnativo sotto ogni aspetto: economico, certo, ma anche umano, psicologico. Abbiamo dovuto affrontare la naturale diffidenza del territorio, superare ostacoli burocratici, ma soprattutto andare oltre la visione immediata del “cosa ci guadagno domani”. Abbiamo guardato a ciò che questo luogo, con le sue caratteristiche, poteva diventare. La sua posizione appartata ma strategica, il silenzio, la luce, il microclima straordinariamente favorevole, la natura intorno, la storia impressa in ogni pietra: tutto meritava attenzione, ma bisognava saperlo interpretare e, soprattutto, rispettare.

Oggi chi sceglie La Monastica non lo fa per caso: cerca una tregua dal caos dell’overtourism, ma non vuole rinunciare alla bellezza e alla cultura. Da qui si raggiungono facilmente Lucca, Pistoia, Firenze, Siena… ma anche mete iconiche del turismo internazionale come Viareggio o Forte dei Marmi. Allo stesso tempo, quando si rientra qui, si ha la sensazione di essere in un rifugio segreto, in un luogo riparato, lontano dal tempo.

Abbiamo voluto offrire un’ospitalità di altissimo livello, ma con un’attenzione così personale e discreta da far sentire ogni ospite come a casa. Questo è il nostro vero lusso: il tempo dedicato, il rispetto, l’ascolto.

Gianfilippo, avete scelto consapevolmente di coinvolgere persone del territorio come staff del resort. Cosa cambia – nell’esperienza dell’ospite e nel clima di lavoro – quando a prendersi cura dell’accoglienza è chi il luogo lo vive davvero?

Coinvolgere persone del territorio è stata una scelta naturale e profondamente coerente con l’anima de La Monastica. Quando l’accoglienza viene affidata a chi il luogo lo conosce, lo ama e lo vive quotidianamente, l’esperienza per l’ospite si trasforma: non è più un semplice soggiorno, ma un’immersione autentica nel ritmo, nei sapori e nei racconti di questo borgo speciale.

Per molti di noi – me compreso – è la prima volta che lavoriamo così vicino a dove siamo nati e cresciuti. Questo crea un legame profondo con il progetto e un senso di responsabilità ancora più forte: rappresentiamo non solo un resort, ma anche la nostra storia personale e quella della comunità che ci circonda. Questo aspetto è stato fondamentale anche durante la fase di preopening che abbiamo vissuto lo scorso anno: l’entusiasmo e il coinvolgimento delle persone del posto hanno reso più fluido, più partecipato – direi quasi più emotivo – ogni passaggio dell’apertura.

Chi lavora qui non si limita a svolgere un ruolo: mette in gioco qualcosa di sé. Ogni parola, ogni gesto racconta un’appartenenza, un orgoglio silenzioso ma tangibile, che rende l’esperienza dell’ospite più autentica, più umana. Anche il clima interno ne beneficia: c’è una cura vera, condivisa, nel raccontare e custodire il luogo con rispetto attraverso il proprio lavoro. In questo equilibrio tra radici e ospitalità, tra eccellenza e calore, crediamo risieda la vera forza dell’esperienza che offriamo a La Monastica.

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