L’accoglienza entra in carcere
Vent’anni fa entravo per la prima volta in carcere, la Casa di Reclusione di Milano Bollate con la richiesta di aprire una cooperativa di catering insieme a detenuti in piena esecuzione di pena, alcuni ammessi al lavoro esterno, altri all’interno del centro cottura per cucinare le basi necessarie alle portate da completare all’esterno. Avremmo allestito eventi in residenze importanti, per la prima volta detenuti formati non solo all’arte della cucina ma ad accogliere e servire gli ospiti.
Una proposta indecente
La proposta che io amo definire indecente mi venne fatta per una mia precedente attività di caterer, con la particolarità che io coccolavo la buona borghesia milanese all’insegna dell’alta qualità e del bon ton ed ora mio trovavo nel crogiuolo delle trasgressioni: persone che avevano commesso reati di tutti i tipi e che, contemporaneamente, si trovavano nella comprensibile sofferenza per la privazione della libertà, la pena più faticosa per l’essere umano.
La gentilezza è una lingua che il sordo può sentire e il cieco può vedere
L’obbiettivo di far apprendere a tutto tondo il mestiere di ristoratore era in realtà il compito più semplice; lavorare con loro significava misurarsi con le angosce sottaciute del loro passato che li aveva portati fino a lì, con la fatica di imparare nel quotidiano il rispetto delle regole, il ripensare la propria vita in una prospettiva futura dove nella maggior parte dei casi fuori ti aspetta il nulla.
Insegnare la bellezza
E’ così, da qui si doveva partire e come paradosso, insegnare ciò che forse non avevano mai conosciuto: la bellezza, sì, è proprio vero, il bello vince sempre e bellezza sono i progetti curati, pensati e voluti con attenzione ed entusiasmo, spesso ribaltando i luoghi comuni ed anche i ruoli. La bellezza si può vedere e c’è sempre negli occhi di ognuno; se non fossimo riusciti a creare empatia non avremmo potuto farla emergere e risvegliare in ognuno la gentilezza che incredibilmente, parte dal rispetto di se stessi. Il carcere questo non lo insegna, ti stimola spesso a fingere di essere un uomo cambiato quando in realtà non hai usufruito degli strumenti utili davvero per una rinascita.
Risvegliamo la dignità con il lavoro
Abbiamo allora puntato su questo, il risveglio della dignità di ognuno con un lavoro vero, stimolo per il rispetto anche da chi è fuori e ti attende, dell’orgoglio di appartenenza ad una cooperativa ampiamente riconosciuta per la sua tenacia, professionalità nel pieno rispetto delle regole. E negli anni, nei percorsi di crescita delle attività lavorative l’attenzione alle storie delle persone, nel quotidiano, frequentemente non esaurite con la fine della detenzione.
La vera gentilezza
Questa è la gentilezza, prendersi cura degli altri che incontri e soprattutto, dimostrarlo, accompagnando l’incontro con la mimica facciale, le posture che dimostrino l’attenzione all’altro. Se non fosse stato così non saremmo mai riusciti a crescere, affermandoci prima con il lavoro di catering nella società esterna, sfatando il pregiudizio del detenuto brutto e cattivo per arrivare alla sfida più impegnativa: un ristorante bello, riconosciuto dalla Guida Michelin dentro un carcere, aperto al pubblico e gestito da detenuti. Ecco la nascita di InGalera-il ristorante del carcere più stellato di Italia. Non ce l’avremmo mai fatta, vent’anni sono molti, cercare la bellezza sempre.
Mi chiamo Silvia Polleri, alias Nonna Galeotta, e sono la donna che ha ideato InGalera, il ristorante presente all’interno del carcere di Bollate. Con un passato nella ristorazione e nel sociale, ho dato vita a un progetto che vuole dare una seconda chance a chi ha sbagliato.
1 comment
Danilo Spanu
Sono letteralmente senza parole.
Un progetto che ha vinto due volte: la prima dando una speranza e un motivo per andare avanti a persone che, di solito, vengono annullate come esseri umani anziché recuperate e la seconda portando questo potentissimo messaggio al di fuori, a noi.
Un esempio da replicare.
Bellissimo, vero. Umano.