Racconto, con filosofia

La gentilezza come grande motore della trasformazione digitale

La nostra realtà quotidiana è costantemente immersa nell’universo tecnologico. Tutto è tecnologia.

Per merito di essa comunichiamo con i nostri affetti lontani, leggiamo libri senza averli fisicamente nello zaino, ordiniamo del cibo, lavoriamo, ci prendiamo cura dei nostri oggetti più cari e frequentiamo lezioni scolastiche quando la nostra salute ci mette a dura prova. La tecnologia, in qualsiasi campo, è dunque strumento di comfort e non solo, è anche e soprattutto il mezzo con cui ogni individuo può ambire a conquistare il proprio spazio nel mondo. Tuttavia, in una società sempre un po’ restia al cambiamento delle classiche abitudini, potrebbero crearsi alcuni scontri tra le diverse scuole di pensiero ed è per questo che risulta necessario, in questo preciso periodo storico, un approccio diverso nei confronti dei propri collaboratori e di tutte le persone con cui veniamo in contatto digitalmente attraverso la tecnologia.

Un approccio gentile, empatico, educato al progresso, materiale e spirituale.

Questo approccio, catalogato da alcuni individui come “perdita di tempo”, sarà utile oltre che per creare un ambiente di lavoro sereno anche per rendere il processo di crescita di una azienda più fluido, edificante e mai discontinuo rispetto alla questione umana. Il mio primo approccio alla tecnologia risale ormai ad un tempo lontano, quantomeno in termini di materia, dato che quest’ultima cambia in maniera esponenziale in un arco di tempo piccolissimo. Era il 1985 ed era tutto eccezionalmente nuovo: il Commodore, i primi videogiochi e un mondo del lavoro che cominciava ad affacciarsi timidamente allo sconfinato sistema della tecnologia.  

L’empatia è un muscolo, dunque va allenato.

Per tutti ero “quello del computer”, definizione che ancora oggi, purtroppo, viene utilizzata con molti giovani ragazzi che concentrano i propri sforzi verso il mondo digital e i suoi risvolti (allora era molto più capibile, era ancora quasi tutto da fare!). Ho iniziato a lavorare come installatore e programmatore di computer in grado di emettere fatture. All’epoca questa mansione che oggi pare così comune, comportava all’interno delle aziende dei cambiamenti epocali, dei salti tecnologici senza precedenti. Chi poteva permettersi di spendere milioni delle vecchie lire investiva con l’augurio, in tempi più o meno brevi, di velocizzare la propria operatività aziendale, risparmiando così tempo e ottimizzando il più possibile ogni processo.

Logicamente questo salto epocale non era sempre un successo e il perché era da ricercarsi nella negligenza di alcuni manager: cosa te ne fai di una bellissima pentola se non sei capace di cucinare? Il progresso, che sia esso di natura tecnologica o sociale, necessita sempre di un accompagnamento, di una guida in grado di formare “l’altro” al mondo che nasce. Questo perché all’interno di una qualsiasi realtà, intesa come piccolo mondo, si scontrano tantissimi altri mondi e modi di pensare e tale scontro, infine, è determinato da diversi fattori, come quello generazionale, forse il più intricato e complesso.  Non bastava dunque essere all’avanguardia dal punto di vista operativo, ma bisognava esserlo anche dal punto di vista umano, attraverso quella parola che solo negli ultimi anni è comparsa sulla bocca di tutti: formazione.

Formare per ottimizzare. Formare per consapevolizzare. Formare per educare

Fu allora che quella definizione di “Approccio gentile” cominciò ad appartenermi, ad entrare a far parte del mio mindset. Perché il mio dovere era quello di mettere da parte la mia preparazione tecnica, formando invece sul campo quella umana, attraverso azioni per me banali ma per l’utente finale decisamente più complesse, come per esempio la semplice emissione di una fattura.  Ricordo che i clienti ricordavano con piacere le mie chiamate (senza la velocità odierna dettata dai cellulari!) il giorno dopo ogni intervento e poi, successivamente, alla fine del mese per capire se la fatturazione di fine mese fosse andata a termine senza inghippi, per ribadire il pensiero e la mia presenza ed essere orgogliosi di essere stati utili a digitalizzare un processo di un cliente, e questo era una bella sensazione, 

Oggi come allora dunque, in questo boom tecnologico imminente e costante, la tecnologia va fatta indossare all’essere umano con empatia e non caricata sulle spalle come un peso inutile. Questo perché abbandonando l’utente a sé stesso si rischia di far perdere a quello stesso utente un mare intero di possibilità per via di un solo, e magari nemmeno troppo impervio, scoglio comprensivo. Un caso studio importante, anche per ricollocare ogni sforzo in una dimensione prettamente umile, è quello del colosso tech Microsoft, non proprio l’ultima voce in termini di credibilità. L’azienda statunitense è sempre stata percepita dall’utente finale così come dagli addetti ai lavori come un mondo arrogante e isolato, molto più concentrato e orientato alla battaglia con altri competitor. Gli sforzi compiuti in questo senso da Steve Ballmer tra il 2000 e il 2014, periodo in cui ha ricoperto la figura di amministratore delegato, lo dimostrano. Così facendo il sentimento generale, come già accennato, si spostò sul concetto che Windows fosse un sistema operativo di cattivo gusto e malfunzionante.

Il punto di incontro tra i bisogni economici dell’azienda e il bisogno culturale di cambiare la comunicazione dell’azienda stessa fu (ed è ancora!) Satya Nadella.

Microsoft chief executive officer Satya Nadella talks at a Microsoft news conference October 26, 2016 in New York

Nominato AD nel 2014 sorprese subito tutti con un’iniziativa particolare. Regalò a ciascuno dei suoi dirigenti un testo di Marshall Rosenberg, “Comunicazione non violenta”, utile per stimolare e educare alla collaborazione empatica. Nadella è l’opposto non solo di Steve Ballmer ma anche dello stesso Bill Gates, padre fondatore di Microsoft. Secondo la sua personale visione, Satya, l’essere umano è “programmato” per mostrare empatia e quella stessa empatia è essenziale non solo per creare un ambiente di lavoro avanguardistico dal punto di vista umano, ma anche e soprattutto per realizzare nuovi prodotti innovativi e facilmente adottabili in più contesti. Ebbi la fortuna di assistere ad un suo Keynote e in quella occasione l’AD di Microsoft fece un qualcosa che ancora oggi mi porto dietro con molto piacere: parafrasò una famosissima frase di Bill Gates: “Un PC su ogni scrivania e in ogni casa, con software Microsoft in esecuzione“, rendendola più gentile:

“Consentire a ogni persona e ogni organizzazione del pianeta di ottenere di più”.

Dopo l’arrivo di Nadella, Microsoft ha praticamente decuplicato i suoi ricavi passando dalla decima alla seconda posizione della classifica delle società più capitalizzate al mondo. In questi anni ho imparato una cosa molto importante: puoi avere il miglior tecnico al mondo, quello che sa come muoversi e che ti dice come eseguire ogni comando senza incappare in particolari intoppi, tutto ciò però non può funzionare e non funzionerà mai senza gentilezza, senza una base di empatia utile a far sentire chi sta dall’altra parte al sicuro, valorizzato e incluso a tutto tondo in un processo di sviluppo. In caso contrario potrebbe sì arrivare un risultato ma questi sarà sempre temporaneo e mai costante. Immediato e mai di lunghe prospettive.

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