Il concetto lusso sta vivendo uno dei più grandi cambi di pelle di questo secolo. Ha vissuto nei passati anni un travaglio concettuale: volgarmente associato al concetto di costoso e irraggiungibile, è stato poi tradotto, nel business, in comportamenti che si esprimevano attraverso la freddezza, il distacco o la rigidità. Per nostra fortuna quel momento, salvo qualche irriducibile, sta progressivamente mutando, lasciando spazio ad un nuovo concetto di lusso nel quale trovano ampi margini concetti come amore, accoglienza e cura. Viviamo oggi in un mondo assai complesso, sfidante e pieno di ostacoli quotidiani, quello che tutti noi andiamo cercando, più o meno consapevolmente, sono esperienze e attimi di bellezza e splendore. Momenti nei quali trovare ristoro dalla frenesia costante nella quale siamo immersi.
Chi fruisce servizi o beni all’umanità, in particolare nel mondo del luxury, ha secondo me un immenso dovere sociale oltre che professionale, il dovere di creare valore per le persone attraverso esperienze arricchenti.
Per questo, quando un cliente, durante una consulenza, mi chiedere di disegnargli il customer journey perfetto per la propria struttura ricettiva, che si tratti di un grande hotel, di una catena di spa o di una catena di negozi del lusso, la prima cosa che gli chiedo è: come vuole far sentire il proprio cliente. E intendo proprio “come vuole farlo sentire”, con tutte le implicazioni emotive e quindi chimiche che si possono immaginare. Già, perché per “fare lusso” non basta assemblare una serie di oggetti di valore, o chiamare il super architetto (che, pure, naturalmente serve) o alzare i prezzi del menu servizi pensando che questo basti. E non basta invitare l’influencer con un milione di followers, perché una volta spenti i riflettori, quel che resta è il modo in cui l’ospite è stato. E per far star bene un ospite, le buone intenzioni possono non bastare. Serve la scienza, serve la chimica.
Il lusso è, tecnicamente, solo una questione di percezione e mai, o quasi mai, di valore intrinseco.
Quella colazione spettacolare che mi hanno servito in due tra gli alberghi più rinomati di Londra e Parigi che costa circa 35 euro non vale 35 euro, da due punti di vista: primo, dal punto di vista strettamente economico (suppongo che tutti questi grandi alberghi applichino un certo ricarico sui prodotti che vendono) sia dal punto di vista valoriale: quei 35 euro sono pochi, se considero gli effetti emotivi che producono, la percezione che di quella esperienza mi fanno avere. La colazione che ho fatto quest’estate in una celebre struttura italiana, a parità (più o meno) di prezzo, era di standard completamente diverso, e ha generato una percezione talmente deludente che mi sono sentita costretta a lamentarmi, per dire. Il valore intrinseco di una porcellana di Ginori, se questa è sistemata male o mal valorizzata da a causa dell’incapacità di interagire di chi dovrebbe far sentire l’ospite a proprio agio, si azzera così come si può decuplicare in caso contrario, quando la stessa porcellana è collocata in un luogo diverso e descritta con valore diverso.
La percezione del lusso è il risultato di una precisa miscela chimica, che chi si occupa di accoglienza dovrebbe conoscere e non ce n’è una meglio dell’altra
Ci sono diversi modi di esprimere il lusso nell’esperienza della accoglienza, l’importante è che ci siano la coscienza e la consapevolezza che non basta più ostentare merci e arredi, ma che questi devono essere accompagnati sempre e comunque da un grandissimo apporto umano e che questo grandissimo apporto umano deve essere assoggettato a regole ben precise: voler essere gentili, non basta. È necessario studiare. E’ necessario rendersi conto che, soprattutto di questi tempi, il lusso va accompagnato.
Ecco: lo scopo di un oste, di un general manager di un hotel, di uno store manager e così via, dovrebbe essere quello di accompagnare con amore per un “tratto di strada” il proprio cliente facendolo sentire completamente accolto: che si tratti di un paio d’ore a cena, di un weekend in montagna o durante una manciata di minuti di shopping. E questo “accompagnare” non può e non deve essere lasciato al caso o alla bravura del singolo.
Quello che amo ogni volta che entro in una struttura di lusso è avvertire che, durante le ore in cui vivo quello realtà, qualcuno penserà a me, si prenderà cura e avrà a cuore il mio benessere.
La cosa che spesso stupisce è che questo ancora troppo di rado accade, anche in strutture blasonate e dai nomi altisonanti non sempre l’esperienza è all’altezza delle aspettative, come una orchestra nella quali i musicisti non suonano la stessa armonia, qualcosa stride. Al contrario, nelle realtà virtuose l’alchimia è palpabile, la senti nell’aria appena varcata la soglia della hall.
La cosa straordinaria è che i grandi professionisti non la ottengono mai per caso, la costruiscono a tavolino, studiando ogni microscopico dettaglio, un elenco infinito di ingredienti che determinano il mix ormonale perfetto, responsabile dello stato emotivo che desideriamo. Il cliente che si sente accolto con amore è un individuo che tornerà nell’ecosistema con un grammo di felicità in più, contribuendo positivamente all’ecosistema. L’accoglienza è un processo, e questo processo deve essere reso un processo scalabile, insegnabile a chiunque, replicabile da chiunque. Mi si passi la frase poco romantica, ma al lusso ci si deve addestrare. Ho girato troppo mondo per non avere, ahimé, una carrellata di esperienze vendute come cinque stelle e si sono rivelate delusioni cocenti. Ci potremmo scrivere un libro, e questo libro avrebbe protagonisti provenienti da tutto il mondo, ma certamente gran parte proverrebbero dal Paese che amo e che, dal punto di vista dell’accoglienza nel mondo del lusso, di strada da fare ne ha ancora, e molta. Ma siamo qui per questo, vero?
Co-Founder di HCE Luxury (la prima realtà al mondo che applica metodi neuroscientifici e la scienza di HCE al mondo del lusso), dopo una carriera come retail manager, sales manager e Merchandiser nel gruppo Max Mara, è stata direttore commerciale worldwide per il gruppo Abraham Industries, società che controlla i Brands Erika Cavallini, Semicouture, Liviana Conti e Circus Hotel a General Manager di Paris Texas. Attualmente divide la sua attività tra consulenze personali a manager del mondo del luxury e attività formativa all’interno delle aziende, segue personalmente lo sviluppo di startup virtuose nel mondo del fashion ed è autrice del libro “Funziona solo se brilli” (Minerva), in uscita a settembre 2020.
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