I TEMPI SONO CAMBIATI
“Le persone non lasciano il posto di lavoro. Le persone lasciano le persone per cui lavorano”.
E i clienti, salvo casi eccezionali, non lasciano un Brand, lasciano le persone che lavorano per quel Brand. La frase virgolettata dovrebbe essere di Peter Drucker (quella non virgolettata è mia) ma poco importa: quel che importa è quello che la frase dice. Ed è un tema che, oggi più che mai, è di importanza scottante, essendo radicalmente cambiato lo scenario in cui tutti noi lavoriamo: dallo smartworking alle video conferenze, dalle distanze obbligatorie ai dispositivi di protezione, dalla paura che serpeggia all’incertezza che ci rende tutti almeno un po’ più insicuri.
LE PAROLE DEL RISPETTO
In un contesto del genere, la parola “rispetto”, nel mondo del lusso, dell’accoglienza così come nella nostra vita quotidiana, assume dunque una connotazione ancora più importante. Ma che cosa vuol dire lavorare con rispetto? Ci sono sicuramente molti modi per affrontare la questione, e tutti potenzialmente validi. Per quel che mi riguarda, occupandomi io di interazioni umane e in particolar modo di intelligenza linguistica, voglio spostare l’attenzione sul concetto di rispetto manifestato (anche) attraverso le parole. Le parole che diciamo ai nostri collaboratori se ne abbiamo, le parole con le quali accogliamo i nostri clienti (o li facciamo accogliere a chi rappresenta i nostri interessi), le parole con le quali, giorno dopo giorno, svolgiamo le nostre interazioni con i colleghi. Uno dei modi di manifestare rispetto, senza dirlo, è quello di utilizzare parole che aiutino le persone (clienti o collaboratori) a stare meglio, partendo dal presupposto che la situazione emotiva e chimica delle persone con le quali entriamo in contatto è certamente delicata (mascherine, distanze cosiddette sociali e martellamento di notizie concepite per ottenere attenzione e like) e che le nostre parole possono, almeno un po’, lenirla.
Se telefono a un cliente e/o a un collaboratore e inizio con le solite frasi a base di “scusami se ti disturbo” o “non voglio rubarti tempo”, evoco nel cervello di chi mi ascolta immagini poco piacevoli che a loro volta si traducono in reazioni chimiche (ormoni e neurotrasmettitori) che contribuiscono ad innalzare i livelli di stress, invece di diminuirli. Se un collaboratore ci dice di avere un problema, noi possiamo accoglierlo e manifestare rispetto nei suoi confronti semplicemente ascoltandolo e ridefinendo la sua definizione della situazione. Senza negarla, senza sminuirla come, a volte, le nostre migliori intenzioni ci suggerirebbero di fare: “ma che cosa vuoi che sia”, “dai, vedrai che non è nulla”, “te la prendi per così poco”. Si tratta di frasi e di approcci che, per l’appunto, sembrano essere cordiali e sembrano favorire empatia e, invece, sono letterali mancanze di rispetto al punto di vista di chi si espone con noi, rappresentando la negazione del suo punto di vista.
Possiamo fare di meglio: “parlami di questa situazione”, “prendiamoci un appuntamento per vedere come risolvere la cosa”, “in effetti è una situazione delicata”: queste frasi, sono rispettose, per almeno un paio di motivi.
Primo, perché non pretendono di sminuire quel che per l’altro è importante. Poi, perché in realtà lo fanno, ma in modo dolce: se definiamo una cosa “problema”, le nostre reazioni cognitivo comportamentali saranno di un tipo, se definiamo la stessa cosa “questione da risolvere”, le implicazioni e le reazioni saranno diverse. Se un cliente, in una qualsiasi struttura ma a maggior ragione nel mondo del lusso (in cui – è inevitabile negarlo – a un investimento più alto corrisponde l’aspettativa di un servizio migliore. Non dovrebbe essere così, sulla carta, ma è così nei fatti), espone una lagnanza o manifesta un disagio per un qualsiasi motivo, ci sono risposte molto precise da dare, per manifestare quel tipo di rispetto che fa bene sia al cliente, sia al Brand, sia chi del Brand si trova ad essere ambasciatore: “ho capito perfettamente”, “me ne occupo subito”, “adesso risolvo”, “sistemo immediatamente la situazione”, “il suo punto di vista è perfettamente ragionevole” e molte altre che, come queste, dicono molto più di quel che sembra. Sono frasi che parlano di educazione, di rispetto (appunto), di vera accoglienza, quella priva di quel giudizio che rovina le interazioni invece di migliorarle.
IL VERO LUSSO E’ L’INTERAZIONE
Oltre gli aspetti linguistici, se parliamo di interazioni rispettose, ce ne sono sicuramente molti altri da esaminare, partendo da un altro presupposto, ovvero che le persone che ci gravitano intorno, siano esse clienti o siano esse collaboratori, devono stare bene. E come si fa a stare bene se la norma prescrive che dobbiamo stare tutti lontani, che dobbiamo parlarci da video camere e che dobbiamo indossare mascherine tutto il giorno? Questi che ho appena citato sono veri e propri handicap al benessere ed, senza scomodare neuroscienze e psicologia del comportamento, è abbastanza intuitivo: di persone che non ci piacciono o per le quali non proviamo empatia, noi diciamo che “sono distanti da noi”, che “non le sentiamo vicine”, perché il cervello umano collega in modo inconscio l’idea di “distanza” con l’idea di “poca empatia, poco rispetto”: le tue posizioni sono troppo distanti dalle mie, diciamo senza sapere che questa metafora, oggi, la viviamo tutti i giorni in modo inconsapevole, ogni volta che leggiamo un cartello che parla di distanza sociale o che ascoltiamo un messaggio registrato che ci invita a star lontani da tutti.
Nessuno discute il merito della norma, ma i suoi effetti non possono essere taciuti e, soprattutto, non possono essere trascurati. Ecco quindi che tutti coloro che si occupano della gestione delle persone dovrebbero attivarsi nel senso di una ricerca anche linguistica finalizzata a migliorare le condizioni di lavoro delle persone o il livello di soddisfazione dei clienti, senza affidarsi al caso o alle tecniche di comunicazione manieristiche degli anni ’80 e ’90 che lasciano davvero il tempo che trovano e che sanno spesso di presa per i fondelli.
Far star bene le persone è l’imperativo.
E per farlo si possono utilizzare le parole giuste, una piena consapevolezza emotiva che ci porti a trattare gli altri con garbo e comprensione, la conoscenza delle dinamiche ambientali, psicologiche e comportamentali che letteralmente trasformano la percezione della realtà delle persone che ne entrano in contatto. Per “rispettare”, c’è da studiare. E parecchio.
Paolo Borzacchiello è uno dei massimi esperti di intelligenza linguistica. Da oltre quindici anni si occupa di studio e divulgazione di tutto ciò che riguarda le interazioni umane e il linguaggio.
Autore di bestseller e podcast di successo, consulente e divulgatore, è il co-creatore di HCE, Human Connections Engineering, la disciplina che studia le interazioni umane, HCE Luxury, applicate al settore lusso e HCE Research Institue per promuovere la ricerca nel campo delle interazioni umane.Ogni anno forma migliaia di persone e segue la formazione di aziende, imprenditori e manager in tutto il mondo.
2 comments
Maurizio Pizzuto
Un articolo sensazionale.
Per Rispettare c’è da Studiare e parecchio.
È una realtà che sto vivendo e allo stesso tempo Mi sta rivoluzionando la vita
La capacità di adattarsi e il potere delle interazioni umani sono il lusso dello studio condotto con HCE
La vita è meravigliosa ,maggiormente vissuta con consapevolezza
Buon lavoro e ad maiora semper
Keep Calm & Drink Coffee
GRAZIE.
Ogni voce che si leva per invitarci a restare umani è molto importante, per me.
Se posso, parafrasando direi che “per rispettare c’è anche da impegnarsi” ma il valore che assumono i comportamenti diventa inestimabile.